Si dice che dietro un grande uomo ci sia una grande donna, ma a noi donne questa frase non è mai piaciuta, e quindi fatti da parte, grande uomo, che questa grande donna io la conosco da quando i leggins si chiamavano fuseaux, e oggi è di lei che voglio parlare.
Insieme ad Andrea Sambucco, aka Ruggero de I Timidi, Fabiana Incoronata Bisceglia (che guai una volta a chiamarla così, ma oggi sì) ha dato vita alla casa di produzione Produzioni Timide, dopo aver messo la parola fine alla sua attività di architetto.
Un bel cambiamento: raccontaci da dove hai cominciato.
Mi sono laureata nel 2006 al Politecnico di Milano e ho conseguito immediatamente l’abilitazione alla professione. Più per caso che per scelta, mi è stato proposto di lavorare come consulente esterna per una banca, occupandomi di perizie a servizio del rilascio dei mutui. Mi sono buttata in questo giro pensando che poi avrei sempre avuto il tempo di provare a fare la progettista, ma devo ammettere che la progettazione intesa in senso generale non mi ha mai davvero appassionata – o almeno non quella “di tutti i giorni” perché, diciamocelo, l’università ti abitua a fantaprogetti che difficilmente ti capitano nella vita reale, soprattutto se intraprendi la libera professione.
Come è proseguita la tua esperienza professionale?
Come perito lavoravo moltissimo e devo dire che ho visto parecchi soldi fin da subito, ma non è stato positivo, anzi, per me è stato un problema: sono passata dall’essere sempre squattrinata a quello che mi sembrava l’estremo opposto, senza però aver mai avuto esperienza di spese, tasse, Iva e senza aver imparato un po’ di gestione fiscale. Insomma si è rivelato un disastro.
Questa fase di lavoro mi ha portato però una serie di contatti lavorativi utili, in particolare con alcune agenzie immobiliari che mi chiamavano per sistemare le pratiche per i loro clienti: abusi da sanare, certificazioni energetiche, catasto, piccole ristrutturazioni.
Con la crisi dei mutui, dal 2010 la richiesta di perizie è crollata progressivamente e mi sono rimaste solo queste pratiche amministrative. Sono andata avanti così per un po’, ma lo scontro con il mondo della burocrazia è stato decisamente alienante.
Inoltre, in questo tipo di lavoro, il lato creativo veniva sempre a mancare: era davvero difficile metterci del mio.
Il problema spesso era il budget, ma anche un certo discredito verso la nostra professione: in questo ambiente, capita che i clienti abbiano più fiducia nei geometri, meglio se uomini e magari di una certa età.
Oppure seguono il consiglio dell’amico, del commesso della grande distribuzione o dell’offerta speciale del mese.
Ti sono capitate delle situazioni spiacevoli?
Sì. Da una parte, le agenzie mi chiedevano una percentuale sui lavori per i quali venivo contattata e non mi sembrava una situazione del tutto pulita e legale. Vogliamo chiamarla commissione? Io ti passo il lavoro e tu mi paghi. Spesso si trattava solo di un paio di pratiche al mese da 200€ per le quali l’agenzia mi chiedeva anche il 25%.
Inoltre, non sempre avevo il contatto diretto con i clienti e le agenzie iniziavano a trovare sempre più scuse per potermi pagare di meno o in ritardo. Mi dicevano che per causa mia c’erano stati ritardi nei rogiti o usavano la scusa che i clienti non fossero soddisfatti del mio lavoro. Un po’ di ingenuità e di senso di inadeguatezza hanno fatto il resto. In alcuni casi sono riuscita a parlare direttamente con i clienti e a sapere che non c’era nulla di vero. E quindi telefonate su telefonate per riuscire a farmi saldare le fatture.
Così è arrivata l’ansia, in particolare di notte, perché sapevo che al mattino il telefono avrebbe ricominciato a squillare, ma mai per qualcosa di bello e interessante: solo per portarmi nuovi problemi da risolvere in breve tempo e possibilmente senza pagare.
È stato questo che ti ha portata a voler cambiare lavoro?
In parte. L’ho vissuta davvero come una forma di discredito verso la mia figura di architetto: mi hanno fatta sentire poco professionale e poco competente nel mio lavoro. Mi sono posta delle domande: hanno ragione loro? Ho poca esperienza, forse ancora molto da imparare. Ho sbagliato percorso? Mi sarei dovuta fare le ossa in uno studio di architettura e lavorare dieci ore al giorno pagata una miseria? Ho fatto dei colloqui per alcuni studi, ma mi è sempre sembrato troppo umiliante: mai mi sarei sentita di intraprendere quella strada.
Sono arrivata a pensare di essere io quella sbagliata, di non meritare abbastanza, e che quindi fosse giusto che mi pagassero poco o che non mi pagassero affatto.
Ero arrivata al punto che, anche quando facevo i preventivi, svalutavo sempre di più il mio lavoro: io per prima avevo iniziato a togliere credito alla mia figura professionale.
L’esigenza di cambiare lavoro non è nata dall’oggi al domani. Per un certo periodo ho provato anche una forma di coworking, cercando forse la vicinanza di altri colleghi: ho avuto una serie di esperienze interessanti, anche se spesso non retribuite o non abbastanza, ma che mi hanno dato prova di sapermela cavare in esperienze anche molto diverse fra loro.
Il periodo precedente la mia decisione di non fare più l’architetto è stato particolarmente difficile. Non ce la facevo più con le spese, pur lavorando tanto. Benzina, telefono, tasse, Iva, ordine, cassa: mi sembrava di guadagnare, ma in realtà avevo già speso quasi tutto.
Che cosa ti ha portata a lavorare nel mondo dello spettacolo, un ambiente decisamente così diverso?
Mi dicono che ho sempre avuto una vena comica, che al liceo esprimevo salendo sui banchi e rifacendo pezzi da cabaret che avevo visto in TV: era una passione, ho fatto un po’ di teatro da dilettante, ed ero interessata anche alla scenografia, ma non avevo mai pensato di poterne fare un lavoro. Sognavo Brera, ma anche la Civica. Poi, forse anche per mitigare un po’ dello stress che stavo vivendo nel mio lavoro, ho iniziato a partecipare ai laboratori di Zelig, e nel 2010 sono salita per la prima volta sul palco dello Zelig Off. Non ero ancora del tutto a mio agio davanti al pubblico, ma nel mondo dei comici mi sentivo a casa.
Proprio in questo ambiente ho conosciuto Andrea, che ora è mio marito. Lui ha davvero un grande talento comico, e per me è anche un autore bravissimo. Quando ci siamo conosciuti si era già esibito in alcuni programmi televisivi: una volta iniziato a stare insieme, ho imparato ad ammirare il suo modo di lavorare e ho cominciato a dargli una mano come potevo.
Nel 2012 ho montato il video di uno sketch comico per il matrimonio di un’amica e mi sono accorta che mi piaceva molto anche questo tipo di lavoro più “dietro le quinte”: tutto ciò che va dallo sviluppo dell’idea, allo studio della scena, del set, a costumi, foto, luci, video e regia.
Qual è stato il punto di svolta, per te o per entrambi?
Nel 2013 dalla mente di Andrea è nato il personaggio di Ruggero de I Timidi (Artista e crooner neomelodico “con la vocazione al demenziale raffinato” che interpreta dei testi romantici decisamente sopra le righe. NdR). Ricordo che mi ha inviato la prima canzone via whatsapp mentre ero in un centro commerciale e sono morta dal ridere. Ho creduto subito in questo personaggio e ho cercato di incoraggiarlo a scrivere e a provarlo in un laboratorio comico. Insieme abbiamo scelto il look di Ruggero in un mercatino vintage e ho riesumato la parrucca del video dello sketch per il matrimonio, che ora è logo e marchio registrato.
I canali ufficiali all’inizio non hanno creduto nel personaggio (“troppo volgare”, dicevano), quindi è stato necessario fare tutto da soli: sarebbe stato facile scoraggiarsi, e invece non è andata così.
Abbiamo avuto la fortuna di operare in un gruppo di artisti più allargato che ci ha portato la possibilità di collaborazioni: per esempio, il primo video di Ruggero è stato girato da Il Terzo Segreto di Satira. Un po’ di popolarità è arrivata e con essa si sono moltiplicate le cose da fare. Io cercavo di dare una mano, ma il carico di lavoro aumentava e Andrea mi chiedeva sempre più spesso di collaborare.
Era arrivato il momento di fare una scelta e io sapevo di non voler più lavorare come architetto. La decisione finale è stata naturale, ma il percorso per arrivarci non è stato semplice perché la strada percorsa per diventare architetto è stata lunga, sia per quanto riguarda la formazione sia per costruirmi un po’ di esperienza nel lavoro. I dubbi sono stati tanti: devo mollare tutto? Rischiare? Ho iniziato a passare sempre più lavori ad alcune colleghe, fino a decidere di chiudere definitivamente la partita Iva come architetto, all’inizio del 2015. In seguito ne abbiamo aperta una nuova per la nostra casa di produzione.
Ora quindi in che cosa consiste il tuo lavoro?
Ora collaboro con mio marito sia sul palco sia dietro le quinte. Mi occupo un po’ di tutto, ma non sono più da sola: foto, grafica, video, organizzazione delle serate nei teatri e nei locali, prenotazioni, gestione del merchandising, promozione, c’è tanto da fare.
Ho imparato molte cose nuove, da autodidatta oppure sbirciando quello che faceva chi ne sa più di me, ma sono convinta che la formazione da architetto abbia avuto un certo peso, in particolare la capacità di portare a termine un progetto partendo da un’idea, e senza dimenticare l’occhio per la composizione, utile per grafica, foto, luci e video, ma anche semplicemente il sapermi destreggiare fra diversi programmi informatici o la capacità di collaborare proficuamente all’interno di un gruppo di lavoro, che può cambiare da progetto a progetto.
Ora sento che il mio lato creativo è rinato, mi vengono nuove idee, da condividere con gli altri che magari le svilupperanno.
Quali sono le difficoltà che hai incontrato?
La difficoltà più grande che ho avuto all’inizio è stata quella di sentirmi una spalla in un progetto non mio in prima persona: avevo il timore che si potesse pensare che non avessi meriti, ma che fossi lì solo per il mio status di moglie. Ho superato questo mio limite grazie al fatto di veder riconosciuto il mio valore sia da chi mi è vicino sia da chi ci segue: sono indispensabile alla riuscita di questo progetto perché ne sono parte integrante.
L’ansia di non farcela c’è ancora, ma è del tutto diversa, mi fa da sprone, e il raggiungimento dell’obiettivo dà tutta un’altra soddisfazione rispetto alla mia “vita precedente”. Ora sono in grado anche di presentare preventivi e richiedere il pagamento delle fatture senza provare del senso di colpa.
A che punto siete con il vostro progetto?
Abbiamo fatta tanta gavetta, comprese comparse a matrimoni e serate in giro per l’Italia riscontrando una costante e crescente affluenza di pubblico, a partire dalle 20 persone del circolo Arci per arrivare a festival di 6-7000 persone. Poi sono arrivate le chiamate da radio e TV, siamo finiti sui giornali e ci hanno persino chiamati come ospiti sul Red Carpet per la presentazione di una nuova serie TV!
Le difficoltà attuali sono legate al fatto di non riuscire ancora a mettere completamente a frutto quanto abbiamo seminato. Abbiamo un bel seguito, tanti contatti importanti e riceviamo sempre maggiori apprezzamenti, ma tanti sono anche gli investimenti fatti e quelli ancora da fare. Io credo tantissimo nel talento di mio marito e nelle potenzialità del nostro lavoro insieme.
Ora posso dire di sentirmi a mio agio sia sul palco sia, per esempio, dietro una macchina fotografica o da presa, sia a parlare con la gente e a trattare con le persone di questo ambiente.
Di certo ho ancora tantissimo da imparare, ma a differenza di quanto mi capitava quando lavoravo come architetto, niente sembra più costarmi fatica.
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*** Le foto riportate sono di Fabiana e Stefania Bisceglia, Alessia Interlandi e Foto Paritani.
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Dietro ad una grande capigliatura liscia c’è sempre una grande capigliatura riccia.