Il 5 maggio è una data che riporta alla memoria collettiva varie vicende culturali più o meno profane – dall’Ei fu del Manzoni ad una celebre sconfitta dell’Inter – ma quest’anno il 5 maggio ha segnato per me l’ultimo giorno di lavoro per un lungo periodo. Nei giorni successivi mio padre è stato male e la mia bussola ha completamente cambiato direzione: ho avuto a che fare per mesi con ospedale, medici e procedure sanitarie, ma non è servito a nulla perché non sono riuscita a salvarlo.
Sandro Veronesi, in un pezzo ripreso da Futura Corriere, letto qualche giorno fa, scriveva, a proposito di sua madre: “Quando la morte viene a prendersi una persona che a (69) anni non è ancora diventata vecchia, non sembra affatto un evento naturale”. E a me non lo è sembrato: per questo sono in crisi (e l’archinoia non c’entra). È come se qualcuno avesse preso i 5000 pezzi del puzzle della mia vita e li avesse scombinati e buttati per aria, perdendone magari uno o due. Già non ero a buon punto col puzzle: avevo cercato tutti i pezzi con un lato piatto e, partendo dai quattro angoli, ero riuscita a chiudere tutta la cornice esterna; e poi pensavo di proseguire da lì. Ora, con questi pezzi andati perduti, qualche buco rimarrà per sempre.
Con il mese di ottobre riprenderò il mio posto al lavoro e riallaccerò le fila del cantiere che stavo seguendo (che nel frattempo è andato avanti per la sua strada fra varie vicissitudini) e di tutto un mondo al quale in questo momento non sono più sicura di appartenere.
Questa nuova partenza mi obbliga a fare alcune considerazioni, e per di più coincide con i due anni di vita di questo blog, data in cui pensavo che mi sarei trovata a fare riflessioni di tutt’altro tipo.
E quindi mentre mi trovo a reimparare da zero il significato di parole come per sempre e mai più, scrivo qui facendo un po’ di autoanalisi random, e spero mi perdonerete se mi troverò ad andare fuori tema.
Non essendo diventata a mia volta genitore, la perdita di mio padre sta significando per me il momento che segna la fine dell’essere figlia e di qualsiasi illusione legata all’infanzia e alla giovinezza, e la maturazione improvvisa della consapevolezza di non essere immune alle cose terribili della vita. Buongiorno principessa, finora la cose ti sono andate bene: ecco, questa è una prima dose di dolore che ti abbiamo riservato. Abbine cura, e qualsiasi cosa tu voglia fare nella vita, da ora in poi non hai più scuse e datti una mossa, perché il tempo scivola via.
Mio padre aveva una sua attività e alla fine di quest’anno l’avrebbe venduta o chiusa per godersi la pensione. Così non è stato, e questa cosa mi spezza il cuore. Quello che devo pensare è che ha davvero amato il suo lavoro, l’ha costruito da solo e ne è stato orgoglioso. Così mi dice la foto dell’Unione Artigiani che è incorniciata a casa dei miei, di fianco alla sua scrivania, dove ora mi capita spesso di sedere.
È un insegnamento che non posso ignorare e del quale vorrei essere degna.
Ma se fino ad ora non ho fatto certe cose, se non seguo progetti miei e non ho un mio studio, è ora di smettere di dirmi che è perché non mi sento ancora pronta o perché mi serve maturare esperienza per poterlo fare: è il momento di ammettere che non è la mia strada, e pazienza se sarebbe quello l’esito naturale dei miei studi.
Quand’è che ho smarrito questo obiettivo? Possibile che io non l’abbia mai avuto.
“Sono nata nel posto sbagliato? Negli anni sbagliati? Non mi sono messa in gioco prima e meglio? Non ho talento? Sono troppo vecchia? Non ho i soldi per investire di più? Non ho la cultura? A quest’età avrei dovuto fare di più? Non ho avuto culo?“. Sono domande che ho letto di recente e che tormentano anche me.
Non lavorare per un periodo così lungo – cinque mesi – mi ha portata anche a fare delle considerazioni su cosa significhi fermarsi nel nostro lavoro – prendersi una pausa più o meno volontaria – mentre tutto continua, va avanti e si evolve. Ho la sensazione ansiogena di essere rimasta indietro rispetto ad un fantomatico traguardo da raggiungere.
Prendete il BIM per esempio. Nel campo in cui lavoro è l’unica strada da percorrere, una nuova rivoluzione dopo quella segnata da AutoCAD ormai almeno vent’anni (trent’anni?) fa: mi domando quale nuovo gap generazionale questo cambiamento ci metterà di fronte, dato che mi rendo conto, io per prima che già ci sono immersa (e ho solo 37 anni), di non avere tutta questa voglia di adeguarmi al nuovo che avanza. L’argomento è da approfondire e non riesco ad evitare di pensare a quanto stia cambiando la nostra professione, sempre più variegata, complicata, e distante da quella che avevo immaginato iscrivendomi all’università, in quel lontano A.A. 1998-1999.
Mi accorgo che questo post ha smarrito la strada e mi è difficile, ora, dargli un senso, ma d’altronde sono io ad aver smarrito la strada in questo momento. E poi magari questo pezzo lo metto nella sezione “Diario e Professione”, che per una volta sarà un po’ più diario e meno professione.
Forse sei mesi per lasciare un commento sono troppi, perché in sei mesi potrebbero cambiare tante cose, ma ho scoperto solo oggi questo sito. E poi credo che alcuni argomenti non abbiano date di scadenza.
Non voglio scrivere testimonianze personali, ma ti ringrazio per aver scritto la tua, così simile alla mia.
Una cosa però te la voglio dire: a breve finirò Architettura e so già che la cosa importante è scegliersi un team. Magari composto da sprovveduti, un po’ ingenui e provinciali, non è rilevante. Fondamentale sarà non il lavoro ma tutto il contorno, le somiglianze con chi si lavora – e si vive.
Io, da semplice ventiseienne, lavorerei anche 10 ore al giorno per (e con) una come te, così – apparentemente – fuori da certe dinamiche che con l’Architettura c’entrano zero (eppure vi si sono sostituite).
Coraggio. Lo dico a me per dirlo a te e a tutti quelli fuori dal tempo (sempre apparentemente). Ad maiora 🙂
Ciao Marlon, io ci ho messo sei mesi a rispondere, quindi direi che siamo pari 🙂
A parte gli scherzi, mi spiace molto di essermi persa un commento così bello: ti ringrazio per quello che mi hai scritto. Lavorare con persone come te, così piene di entusiasmo, fa davvero bene al morale di un gruppo di lavoro. A volte il team lo si può scegliere, a volte no: ma è importante in ogni caso dare il massimo per lavorare bene insieme perché il nostro non è un lavoro che si fa da soli, mai.
E chissà che nel frattempo tu ti sia laureato e abbia iniziato questa avventura…
Cara Marta, anche io mi sono imbattuta quasi per caso nel tuo blog ( quasi … perchè il caso non esiste), e condivido tutto quanto esposto dalle colleghe qui sopra, così come mi sento toccata e presa in causa in molte delle tue riflessioni. Sono incapace di avvicinarmi all’altrui dolore, temo di dire solo sciocchezze o banalità, ma ti dico certamente che sei fortissima! scrivi divinamente e son certa tu sia parecchio in gamba nel tuo lavoro. Tutti abbiamo perso la bussola in questo periodo storico. Forse solo mettersi a studiare psichiatria può dare certezze lavorative per il futuro … ecco, infatti non so più come concludere questo mio messaggio, nè tanto bene perchè ho cominciato a scrivere, forse mi hai talmente coinvolta con quel coltello che ha riaperto la ferita del volevo viaggiare per mestiere, fotografare, l’ Africa …
Ok, risvegiata da “gentile cliente, Tim per migliorare la qualità …” , volevo inerpicarmi sui sentieri del “non è mai troppo tardi” ma ti saluto e ti abbraccio, anche perchè ho mille cose da fare ed è tardissimo!
Se passi da Bergamo e ti va di contattarmi possiamo berci un caffè.
Elisabetta
Grazie mille a te di essere passata di qui e di avere avuto la voglia di lasciare un commento, Elisabetta. Credo che la mia sia una situazione comune a tanti che fanno il nostro lavoro, e non solo, e forse per questo empatizziamo così tanto 🙂 Sul “non è mai troppo tardi” ci continuo a sperare, anche se – in questo particolare momento – non ne sono più così sicura. E per quel caffè, chissà! A presto
Carissima,
ho letto per caso questo post e a ruota ho letto tutto il tuo blog, tutto d’un fiato in pochi giorni. Coraggio, lo sconforto fa aggrovigliare fra loro tante questioni che alla fine diventano un gomitolo gigante inestricabile. Prova a non pensare a tutte, tutte in una volta, ma considerarle una alla volta in momenti diversi e lontani fra loro aiuta ad alleggerire il peso dei pensieri.
Anche io 37, anche io architetta colpita dall’archinoia, mi sono ritrovata in tantissime tue considerazioni e il tuo blog per me, in questo momento, è stata una luce in fondo al tunnel! C’è speranza!
Un abbraccio
Ciao Rita, ti ringrazio tantissimo per le tue parole, mi fa piacere sapere di non essere sola e mi fa altrettanto piacere sapere che con questo blog riesco ad essere vicina a qualcuno. Ti abbraccio!
Ciau smarty. ho appena incontrato piero e mi ha detto che avevi scritto un bellissimo post. Grazie per come scrivi… riesci sempre descrivere come ci sentiamo un po’ anche noi. Ti abbraccio. Ma vediamoci presto. Anche solo per una maschera di bellezza. che alla nostra età ci vuole!
Grazie, Chiara <3
Preferirei che ci vedessimo con davanti un bicchiere di vino, che della maschera di bellezza chi se ne frega 🙂
Ti abbraccio anch’io, anch’io ho 60 anni, è la mia non è solo una sensazione, ho lavorato/collaborato negli ” ultimi ” 26 anni con uno studio che ha definitivamente chiuso senza lasciarmi nessuna eredità , mi è rimasto solamente il regalo della Fornero, alla mia età nessuno ti considera e non puoi più fare alcun tipo di promozione senza sembrare ridicola. Non sono sicuramente in grado di adeguarmi al nuovo che avanza e tutto il mio bagaglio di esperienza non se lo fila nessuno. Io non so più come sbarcare il lunario , ma tu sei ancora in tempo per salvarti : cambia professione!!
Grazie mille, Cinzia, dell’abbraccio e del consiglio.
E non abbatterti, sono certa che con l’esperienza accumulata tu non possa assolutamente sembrare ridicola. Forza!
Cara, ti dico solo una cosa: ti abbraccio.
Anzi, te ne dico un’altra: la sensazione che descrivi nella seconda parte del post la sto più o meno provando anch’io, però io ho 60 anni e la Fornero mi ha ringiovanito di 7 con un tratto di penna…
Grazie mille Isabella, l’abbraccio me lo prendo tutto.
Ti sono vicina perché inizio già a comprendere la tua situazione!