“Ma non si potrebbe fare qualcosa un po’ più da architetto!?”.
Negli ultimi tempi mi sono sentita rivolgere questa domanda per ben due volte. Dopo il primo pensiero di risposta – che è meglio non sottotitolare – la mia reazione è stata quella di pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato (se il Cliente non è convinto…): “Forse lavoro troppo con gli ingegneri e ho smarrito quel certo non so che”.
Cerco di contestualizzare, così magari potete rassicurarmi sul fatto che alla fine avessi ragione io. In entrambi i casi il tema erano finiture di interni, proprio dei dettagli, e vi chiedo infatti di scusarmi se ho scomodato LC nella foto qui sopra, ma l’occhialetto tondo nero è quanto di più da architetto mi venisse in mente. L’interior design non è il mio lavoro quotidiano e da qui il mio dubbio.
La prima volta della fatidica frase la questione dibattuta riguardava la disposizione sulla parete vuota di un ufficio di due mensole in vetro acidato (scelte dal cliente) da posare con un bel profilo continuo in acciaio (scelto da me per ovviare alle mensole in vetro che non mi piacciono): io le avrei posate affiancate, a formare un unico piano di appoggio, oppure una sopra l’altra ma rigorosamente allineate, anche considerando il fatto che nella parte superiore si era già deciso di appendere un unico grande quadro/fotografia.
Per il Cliente la soluzione più da architetto consisteva nel disporle invece una sopra e una sotto, ma sfalsate in modo tale da sovrapporsi solo di una trentina di centimetri, “per movimentare la parete“.
Io detesto movimentare le pareti – è una frase che non ha senso – ma ho imparato che c’è tutto un linguaggio da interpretare per comprendere le reali esigenze espresse dai Clienti.
Nel secondo caso, la fatidica frase è stata pronunciata a seguito della mia proposta di disporre una serie di fotografie incorniciate (due gruppi di otto pezzi su due pareti contrapposte) secondo una griglia regolare, e non una un po’ più su e una un po’ più giù, che sarebbe stata a quanto pare la soluzione più da architetto.
Mi piacciono le composizioni irregolari, ma a mio parere vanno scelte quando le fotografie o i quadri da appendere sono di dimensioni diverse e rappresentano differenti soggetti: in questo caso si trattava di foto tutte grandi uguali, con cornici identiche, e tutte rappresentanti simili soggetti – ritratti su sfondo nero – da disporre in un ambiente molto rigoroso, dal gusto vagamente coloniale, con mobili in wengè.
In questo secondo caso, il cliente ha seguito il mio consiglio, e poi ne è stato contento, nel primo ho lasciato che disponesse le mensole come desiderava. E le mensole giacciono ancora lì, vuote.
Certamente stiamo parlando solo di dettagli minimi, ma il punto al quale si torna è il modo in cui viene percepita la nostra professione, cioè qualcosa che un po’ tutti possano fare.
Ora, con questo non voglio dire che solo chi abbia studiato architettura sia in grado di disporre due mensole su una parete, ma questo clima di sottointeso giudizio io me lo sento addosso troppo spesso, e in tutti gli aspetti della mia professione, e finisce per tradursi in quelle idee malsane che tutti conosciamo, tipo che il computer faccia tutto da solo e che comunque “mio cugino lo fa a meno”.
Sulla base di quale principio qualcuno che non abbia studiato la materia possa sapere più di chi l’ha studiata che una cosa sia più da architetto di un’altra resta comunque un mistero. Lo sfiderei ad andare a dire ad un medico “Ma non potrebbe prescrivermi qualcosa un po’ più da dottore?” o ad un avvocato “Ma non riesce ad esprimersi con termini un po’ più legali?”, ma mi viene il dubbio che, con i tempi che corrono, forse non dovrei più stupirmi troppo nemmeno di questo.
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NOVANTADUE MINUTI DI APPLAUSI
Io non saprei nemmeno come definirmi… Sicuramente per la legge ARCHITETTA, nel senso che ho la laurea in architettura, l’esame di abilitazione, sono iscritta all’albo e svolgo la libera professione.
Ma nella pratica… sono una studiosa di architettura tradizionale, una blogger (di restauro e architettura storica), ho fatto un master in miglioramento sismico del costruito storico e pure alcune consulenze strutturali, scrivo per due siti (per uno articoli di design e architettura “generica”, per l’altro cose molto specialistiche di restauro). Alla progettazione preferisco la direzione dei lavori e in cantiere metto le mani nella secchia di calcina.
E naturalmente, odio le COSE DA ARCHITETTO, che io identifico con:
– muri tondi;
– pavimenti in gres a effetto legno;
– cessi quadrati o variamente di design;
– bagni in cui entrando non si deve vedere il wc (toh, un water in un bagno, che cosa strana!);
– i mobili senza pomelli e laccati, perché si sporcano solo a guardarli;
– le porte di cristallo fumé, per il motivo di cui sopra;
– il parquet in bagno;
– i controsoffitti “movimentati” in cartongesso con 2000 faretti incassati;
– le pareti di colori improponibili tipo viola prugna o grigio antracite, che tolgono luce e rimpiccioliscono lo spazio.
Ciao Ily,
Grazie per il commento! Come ci definisca la legge lo sappiamo, poi ognuna segue le proprie predisposizioni, quindi prendi la calcina e via, senza pensieri 😀
Fra le “cose da architetto” che citi (e che ovviamente sono quasi tutte cose che un architetto volontariamente non sceglierebbe mai) io personalmente salvo:
– il parquet in bagno, che per me è sì, a certe condizioni;
– le pareti colorate (se ben pensate, a seconda del contesto, why not?)
– i mobili senza maniglie e pomelli, se studiati con sistema di apertura ben pensato
Invece aggiungerei alla lista dell’orrore il vetrocemento e le piastrelle posate a 45°…
Marta da una che ha fatto solo 3 anni di architettura ma che continua ad amarla mi metto nel mezzo, tra il cliente ignorante (nel senso che ignora alcune cose) e il tecnico (nel senso che capisco cosa vuoi dire). Forse più da architetto è inteso come più originale, eclettico un po’ alla F.L. Wright, insomma, leggendo le richieste dei clienti e le situazioni ho immaginato subito la casa sulla cascata. Molta gente pensa che la linearità sia banale, semplice….facile. Grosso errore visto che sappiamo bene che rimanere dentro una forma molto minimale riuscendo a rendere tutto funzionale e contemporaneamente armoniozo è tutt’altro che semplice.
Ciao Conny!
Ma io ho capito bene quello che mi veniva richiesto, e cioè di ottenere un effetto più WOW (ormai il linguaggio non tecnico dei Clienti ho imparato a decifrarlo!). Recriminavo però il fatto di sentirmi “insegnare” da qualcuno non del mestiere cosa fosse “da architetto” e cosa no… Lo trovo assurdo e anche un po’ supponente, anche se ho capito che non fosse questa l’intenzione.
Nel caso specifico l’effetto WOW era difficile da ottenere perché il contesto non lo permetteva e perché la richiesta reale era stata un’altra e quindi non c’erano gli elementi né il budget per fare qualcosa di diverso. Il problema a volte è far capire che fare un buon lavoro/farlo velocemente/farlo spendendo poco non sempre è possibile… Questo in tutti i campi, lo so! Immagino sia lo stesso anche nel tuo lavoro.
Grazie per il commento!
Ciao Marta,
per fortuna ci sono ancora i tuoi post a farmi capire di essere parte di una “grande famiglia” della quale farei volentieri a meno, famiglia il cui cognome potrebbe essere riassunto in “bella la tua idea, ma io forse farei così….”.
Puoi capire poi – da “interior designer” quale sono (parole che mi vergogno anche solo a pronunciare, ma così è : P ) – quanto io mi scontri con queste creature fantastiche che il dove trovarle è fin troppo facile: all’IKEA -niente in contrario sia chiaro- convinti che saper scegliere il divano con fantasia pop prodotto in serie, due lampade moderne e un quadro con gigantografia di NY-che-fa-sempre-figo sia un segno inequivocabile della loro passione per il design e della loro indubbia capacità di saper fare il tuo mestiere senza nemmeno aver studiato. Che eroi, che artisti. E il dubbio che abbiano ragione loro e io non abbia capito un beneamatissimo mi viene pure, sempre, e comunque.
Se poi citiamo anche il secondo cognome di famiglia (eh sì, siamo aristocratici), ovvero “tanto lo fa il computer, no?” mi vien quasi da piangere e da invitarvi tutti per il cenone di Natale perché si sa che Natale è con i tuoi.
Ultima -o quasi- in ordine di tempo: il disegno di un mobile (termine riduttivo, ma andrei troppo per le lunghe) consegnato al falegname che avrebbe dovuto realizzarlo. Premessa: il lavoro era per un progetto londinese, le tavole erano quindi tutte in inglese così anche i disegni costruttivi dei mobili. Cito, quasi alla lettera, in ordine sparso:
1) LUI: “non si è mai visto un falegname che sappia l’inglese, quindi traduci tutto”.
IO: “sì beh, non è che ci vuole un secondo, ci saranno un centinaio di scritte su ogni tavola tra commenti, note, indicazioni, ecc”
LUI: “tanto lo fa il computer, no?”
IO: “no!”
2) LUI: “Perché hai fatto questa sezione qui? A me serve di più quest’altra”
IO: “Perché quella serve più a capire come è fatto nel complesso il mobile, serviva agli architetti”
LUI: “Beh, allora fanne un’altra anche lì, tanto la fa il computer, no?”
IO: “no!”
3) LUI: “Questo dettaglio noi non lo facciamo così” (schienale del mobile, ndr)
IO: “Beh come facciate voi lo schienale (il falegname è stato scelto a posteriori, ndr-bis) non lo so, ma è uno schienale, fallo come vuoi”
LUI: “Allora ridisegnalo così e ridammi le tavole corrette, tanto lo fa il computer, no?”
IO: ***********************
Vabbè, questo per dire che ti capisco, ti capisco e ti ri-capisco.
Scusa, sono andato per le lunghe.
Grazie del blog : )
Ciao Francesco!
Forse lo dovresti scrivere anche tu un blog: DesigNoia 😀
Via Instagram, Facebook e messaggi privati ho ricevuto tanti commenti a questo articolo: mi fa piacere sapere di non essere “sola” e che in tanti sperimentiamo le stesse problematiche. Parlarne credo che faccia bene a tutti, se poi arrivassimo a qualche soluzione ben venga!