Quando scriviamo un blog i nostri contenuti parlano per noi: testi che abbiamo scritto anni fa, e che rispecchiavano il nostro sentire di allora, restano in rete per sempre (a meno che non siamo noi ad eliminarli) e chi si trova a leggerli a distanza di tempo è indotto a pensare che quelle parole siano ancora lo specchio della nostra realtà di oggi.
Credo che il modo di comunicare che ho tenuto finora qui su Archinoia tradisca ormai il mio presente: me lo hanno fatto pensare le email di due colleghe ricevute nelle ultime settimane. Che siano necessari alcuni cambiamenti di rotta? Sono ancora – in prima persona – una “archiannoiata”, come mi è stato scritto?
Rileggendo oggi la pagina che – fino a poco tempo fa – raccontava le motivazioni che mi hanno spinta ad iniziare il progetto editoriale di Archinoia (e se non lo avete mai fatto eccola qui), avreste di fronte una persona che affoga nell’architettura, frustrata dal proprio lavoro, che ha deciso di riscattarsi tramite un blog, in parte sfogo online e in parte ricerca di ispirazione fra le esperienze di altri colleghi e colleghe, e che più o meno velatamente esprime il desiderio di cambiare completamente il proprio lavoro.
È questa persona che le due colleghe che mi hanno scritto si sono trovate di fronte e, riconoscendosi loro stesse, oggi, nella mia situazione di allora, mi hanno contattata per manifestarmi il loro sostegno e la loro comprensione.
Per la prima volta però ho avvertito che in qualche modo le stavo “ingannando”: perché? Cos’è cambiato? E, soprattutto, perché non riesco più a rivedermi completamente nelle parole di queste due colleghe?
Una delle due mi ha scritto di sentirsi “ormai da anni in apnea, immersa trenta metri sott’acqua nel tentativo di salire a galla, ma senza più riuscire a capire qual è la direzione per risalire”. Sì, forse questo è il punto dal quale sono partita, che io allora immaginavo più come la ruota di un criceto sulla quale salivo ogni mattina e dalla quale non sapevo più come scendere.
“Penso che nella nostra variegata ed ampia realtà di archiannoiati ci sia anche una buona quota parte di coloro che vorrebbero ma non possono”, o comunque non riescono per tanti motivi, a darsi una scossa e a decidere di fare qualcosa per cambiare. “Ho visitato il tuo blog e […] quello che, fino a ieri, mi sembrava un incubo che vivevo da sola, è apparso improvvisamente una realtà condivisa […]. Stessi rituali, stesse frustrazioni subite […]. Dopo cinque anni di questa vita sento una necessità ormai fisica di lasciare quel posto”.
Tre anni fa condividevo anch’io questa sensazione di claustrofobia, ma oggi non è più così: e non è il lavoro ad essere cambiato, ma il mio approccio al lavoro, il mio punto di vista su di esso. A distanza di tre anni posso dire che Archinoia mi abbia aiutata a superare quel lungo momento di impasse e a ritrovare il senso di quello che faccio. Certo, non è stato solo grazie al blog, ma ha avuto la sua importanza.
Il tenore dell’email della seconda collega è stato per me un campanello d’allarme ancora più forte: “Sono con te, ti capisco e voglio dirti di non mollare […]. Ti auguro di trovare la tua strada e di avere coraggio, e non rinunciare mai alle cose importanti della vita: l’amore, l’amicizia, i tuoi valori”.
Per me il lavoro è importante e gli dedico tempo ed energie, sia perché realizza al meglio le mie propensioni personali, sia perché non potrei fare a meno della mia indipendenza economica, ma questo non significa che io lo metta sul gradino più alto del podio o che gli sacrifichi gli affetti più importanti. Da una parte, spero di non dare l’impressione di essere una “donna in carriera” (chissà perché “uomo in carriera” non esiste), la quale, se il lavoro le va male, resta solo un pugno di mosche; dall’altra spero di avervi trasmesso che sono una che non molla mai e alla quale il coraggio non manca.
“Ti dico una cosa”, continua la seconda email, “molto del nostro successo dipende da noi, da come valutiamo noi stesse e il nostro lavoro, da come ci presentiamo, da come ci vendiamo o svendiamo. Da quanto coraggio abbiamo di dire sì alla novità e no a quel che ci fa del male”: questo è proprio ciò che è cambiato in me in questi anni, anche grazie al blog, e con gran fatica perché mi riesce molto difficile valutare me stessa con l’oggettività (e anche con l’indulgenza) che riservo al mio giudizio sugli altri. Credo di aver accennato più volte alla Sindrome dell’Impostore, che certamente mi è propria, e con la quale sono in lotta da sempre (anche attraverso una buona analisi).
E insomma, a partire da queste considerazioni, il succo di questo post è che ho riscritto l’abstract del blog e, in parte, anche la mia pagina About: per me è importante che chi ci si imbatterà d’ora in poi sia a conoscenza di questo cambiamento.
Anche per quanto riguarda gli articoli-intervista, cercherò di diversificare, senza concentrarmi solo su chi ha declinato la professione di architetto nelle sue tante possibili sfumature collaterali o su chi ha cambiato completamente strada, ma raccontando maggiormente di chi questo lavoro lo svolge nel senso anche più tradizionale del termine.
Diciamo che questo è il cambiamento di rotta che mi propongo per questo 2019 e ha senso che questo post arrivi proprio nel mese di gennaio.
Come io sia passata, nella pratica, da archiannoiata alla successiva forma evolutiva è un’altra storia (che non mancherò di raccontare): vi basti per ora sapere che una migliore comprensione nel vero significato della parola sticazzi ha avuto la sua parte e che comunque continuerò ad archiannoiarmi, anche solo per non dover cambiare il nome di questo blog.
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