Ormai lo sapete, è notizia di due mesi fa, l’Ordine degli Architetti di Bergamo ha accettato la richiesta di tre iscritte di avere la possibilità di scegliere il timbro con la dicitura al femminile “architetta”. La notizia, diffusa dai giornali e da pagine di settore sui social network, ha scatenato, accanto ai molti “mi piace” di sostenitrici e sostenitori, un tripudio di commenti, in questo caso per la maggior parte negativi, provenienti da colleghe che preferiscono continuare a definirsi architetto, al maschile (e che sono libere di farlo).
Se tu che stai leggendo sei fra coloro a cui “architetta” proprio non va giù, ti dico che ti posso capire, perché fino a poco tempo fa la pensavo come te, e non la pensavano del tutto diversamente neanche le sostenitrici dell’iniziativa. Cos’è successo poi? Se ti va di approfondire, Francesca Perani, che insieme a Silvia Vitali e a Mariacristina Brembilla ha scelto di farsi promotrice di questa iniziativa, mi ha descritto il percorso che le ha portate a questo risultato.
Se invece vuoi sapere che cosa ne penso delle critiche negative a questa iniziativa, ti rimando direttamente a questo post.
Archidonne, il punto di partenza
Perani, Vitali e Brembilla hanno partecipato in prima persona alle attività dell’Ordine di Bergamo dal 2010 al 2014 e si sono sempre spese per pari opportunità e conciliazione, riuscendo ad ottenere che il successivo Consiglio in carica, al termine del loro mandato, fosse paritetico, quindi con uguale numero di rappresentanti fra uomini e donne.
Francesca mi ha raccontato di come già nel 2010, in questo contesto ed insieme ad altre colleghe, abbia deciso di fondare un gruppo composto da trenta professioniste decise a sostenersi a vicenda e ad attivarsi a favore delle colleghe più giovani con l’obiettivo di affrontare le questioni di genere nel settore dell’architettura. Per il nome da dare a questo gruppo all’epoca non è stato nemmeno preso in considerazione “Architette” e si è scelto invece Archidonne, dato che i tempi, semplicemente, non erano maturi.
Perché la formazione di un gruppo di questo tipo? Perché le architette in Italia sono ancora penalizzate: moltissime ragazze si iscrivono alle Facoltà di Architettura (oltre il 50% rispetto al totale degli iscritti) e in media sono maggiormente brillanti negli studi e si laureano in tempi più brevi, ma nonostante questo dopo la laurea “si perdono”, e solo tre architetti su dieci iscritti all’Ordine e attivi nel lavoro sono donne.
Molte abbandonano la professione a causa delle difficoltà incontrate nell’inserirsi nel mondo del lavoro, nel conciliare i tempi della famiglia con quelli di una professione sempre più competitiva, o nel trovare il giusto equilibrio fra tempo ed impegno spesi nel lavoro e relativo ritorno economico, data la disparità di reddito tra architetti uomini e donne (gli uomini guadagnano il 57% in più delle loro colleghe).
Archidonne si proponeva quindi come obiettivo primario la promozione della parità di genere con iniziative concrete. Fra i principali progetti portati avanti da questo gruppo:
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l’ottenimento dell’esenzione dalla quota di iscrizione annuale all’Ordine per iscritti ed iscritte neo-genitori, senza distinzione fra padri e madri;
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la realizzazione della video-intervista “Sopravvivere al sistema”, alla quale le architette iscritte all’Ordine di Bergamo sono state invitate a partecipare;
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l’organizzazione della Notte OAB dedicata alla Professione al Femminile, con la proiezione di un video di dati statistici elaborati dal Politecnico di Milano e patrocinato dalla Regione Lombardia;
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attività di formazione nelle scuole e redazione di lettere e comunicati stampa per la sensibilizzazione di Enti e commissioni pubbliche.
L’importanza dell’azione di un singolo
Questo il punto di partenza. Con il passare del tempo la consapevolezza di poter fare qualcosa di concreto è cresciuta e Francesca mi ha raccontato che le manifestazioni delle donne per l’8 marzo di quest’anno le hanno dato maggiore fiducia nella potenzialità delle azioni di ognuno di noi per cambiare le cose, anche a piccoli passi.
La marcia delle donne di Bergamo, la sua città, ha visto 4000 donne scendere in piazza e marciare nelle strade per la rivendicazione dei propri diritti. Alla manifestazione di Milano Francesca e Silvia si sono presentate con un cartello con la scritta “Architette per la parità di genere”, una provocazione, certo, ma anche “un segnale di autoriconoscimento” per “riconoscersi in un ruolo ricoperto ma ancora poco rappresentato”, come ha scritto Gisella Laterza sul Corriere, dopo averle notate alla manifestazione proprio grazie a quel cartello.
Nel frattempo, complici le recenti discussioni sul linguaggio di genere nelle professioni e la posizione della Crusca e di esperti ed esperte quali Cecilia Robustelli, la richiesta all’Ordine di Bergamo era stata inoltrata secondo normale procedura (Silvia Vitali a presentare la domanda, Mariacristina Brembilla e Francesca Perani a sostenerla) e proprio pochi giorni dopo l’8 marzo è arrivata la Delibera con l’approvazione della possibilità di scelta del timbro con la dicitura al femminile architetta. Si noti intanto: “possibilità di scelta”, e non “imposizione”.
Le critiche
Le promotrici dell’iniziativa non credevano che professionisti e professioniste avrebbero accettato facilmente fin da subito questa opportunità, ma di certo non si aspettavano che detrattori e detrattrici dessero libero sfogo ad un disprezzo anche personale nei loro confronti, sostenuto da motivazioni che raramente si possono definire approfondite e che denotano scarsa conoscenza dei temi legati alla linguistica e al sessismo.
Premesso che apprezzo sempre le diversità di opinioni e le discussioni per sostenerle, se civili e costruttive, ma per rispondere a queste critiche credo sia utile aprire un capitolo a parte che ho deciso di affrontare in un altro post.
In generale credo che non sia necessario essere sempre d’accordo con le scelte degli altri, è sufficiente accettarle e rispettarle, fino a che non ledono la nostra libertà personale. Quindi, comunque la si pensi, che piaccia o no, che si scelga di utilizzare “architetta” o meno, per me è sempre e comunque una questione di garantire libertà di scelta a chi senta l’esigenza di definirsi in questo modo. Se questa libertà c’è, perché negarla?
I passi successivi
Francesca è orgogliosa di essere una delle prime architette a poter utilizzare il timbro al femminile, ma di certo il suo impegno non si ferma qui.
La sua prossima battaglia si rivolge alla sensibilizzazione di organizzatori di giurie, master e conferenze legate all’architettura perché sia garantita fra membri di commissioni, relatori e insegnanti una equa rappresentanza di uomini o donne, o perlomeno perché non ci sia una presenza solo maschile, aspetto che al momento non è per nulla scontato e che di certo non consente una corretta valutazione di candidati e candidate che decidono di partecipare.
Cosa si può fare in merito? Francesca ha deciso di far sentire la propria voce e di tenere sotto controllo questo fenomeno, facendo notare caso per caso queste disparità, usando in modo costruttivo anche i social network, e contattando chi di dovere.
Un altro passo importante per rendere più semplice l’approccio alla nostra professione per le nuove generazioni di architette è per Francesca quello di promuovere dei role model al femminile, facendo conoscere il più possibile le professioniste dell’architettura. Sì perché la sua esperienza da studentessa – non molto diversa dalla mia (e dalla vostra?) – è stata quella di una maggioranza di professori di progettazione uomini che portavano come riferimento altrettanti uomini progettisti: come può in questo modo una donna pensare di non essere una mosca bianca nel panorama lavorativo dove si troverà ad operare?
E come si possono aiutare le donne che, ad un certo punto della loro carriera professionale, decidono di avere una famiglia – e quindi di farsi carico di un impegno fisico e psicologico di grande intensità – se non favorendo una cultura di riferimento al femminile?
Francesca ha quindi recentemente deciso, insieme ad una redazione di giovani professioniste, di creare una pagina Facebook che funzioni come un database di architette internazionali del passato e del presente dal quale si possa attingere per trovare architette da contattare per eventi, giurie e conferenze, premi, e dal quale trarre ispirazione.
Il progetto va ad aggiungersi ad altri simili che propongono reti di donne creative impegnate nel design, Women Who Design, nell’illustrazione, Women Who Draw, e anche ovviamente in architettura, per esempio Archiparlour con la sua Marion’s list.
Se volete contribuire, i suggerimenti sono bene accetti.
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