Sono un’architetta e vivo a Milano, perciò le frasi che pronuncio più spesso sono: “Non ho tempo!” e “Sono in ritardo!”.
Più o meno così recita l’inizio dell’about di questo blog, a cui ora aggiungerei “Non faccio altro che lavorare!” perché per i primi mesi di quest’anno davvero ho l’impressione di non aver fatto altro. L’impressione non è reale, ma è il cervello che sembra non aver staccato MAI. Credo di essere arrivata in un paio di occasioni sulla soglia dell’esaurimento, autodiagnosticato con la mia laurea in medicina ottenuta presso l’università della vita, grazie alla visione di medical drama e alla lettura di siti poco attendibili su gugol.
È un momento stressante per tutti nel nostro settore: vi racconto perché lo è per me.
Alla fine di gennaio mi è stato proposto di diventare Project Manager – per gli amici PM – per la società con cui collaboro ormai da più di dieci anni. In fondo era quello che già stavo facendo da mesi, con l’aggiunta di alcune altre mansioni. È stata quindi più che altro la formalizzazione di un incarico e ne sono seguiti un riconoscimento economico e moltissima ansia in più, perché io le responsabilità le vivo benissimo.
Come si può dire che sia cambiato il mio lavoro sul lato pratico? Il mio ruolo precedente l’avevo raccontato in questo post – scritto ormai alcuni anni fa – e come sono arrivata fin lì è in quest’altro post.
Il mio lavoro di oggi si può invece riassumere così:
- supervisiono la progettazione interna di alcuni progetti
- (dovrei) monitorare la commessa che seguo dal punto di vista economico e delle tempistiche (dico dovrei perché su questo punto ci sto ancora lavorando)
- partecipo alla verifica dell’attività di controllo costi
- gestisco in generale il lavoro di consulenti e progettisti esterni
- mi occupo delle relazioni con i clienti
- cerco di trovare soluzioni ai mille imprevisti e probabilità che si verificano nel nostro lavoro
Il tutto, per fortuna, non da sola, e soprattutto con la supervisione di qualcuno che avrà sempre l’occhio più lungo del mio. Provo ad approfondire per singole attività, anche per dimostrare che il lavoro di architetti ed architette può avere molte facce differenti.
01 | Supervisione della progettazione interna
I progetti che seguiamo sono grandi e complessi, per esempio quello che mi occupa più tempo in questo momento è composto da nove edifici residenziali e un supermercato di media superficie, più i relativi spazi esterni e due piani di autorimessa, cantine, locali tecnici etc. In base alle varie fasi progettuali, c’è un gruppo di lavoro più o meno grande interno alla società che si dedica a questo progetto. Il mio compito è prima di tutto quello di organizzare il lavoro degli altri e di aggiornare il gruppo su quello che succede in generale nella commessa, che può dipendere dalle decisioni del cliente, dal lavoro di progettisti e consulenti esterni, dalle risposte degli enti etc: insomma da tutto ciò che recepisco durante le maledette riunioni. Oltre a questo, il mio tentativo è di essere una figura di riferimento a cui rivolgersi per verificare il lavoro e gestirne le criticità.
Ad essere sincera non riesco ancora ad abbandonare completamente il lato operativo della progettazione perché nella mia testa certe cose come le faccio io nessuno mai (ma resto umile) e quindi, per esperienza, posso dire che delegare sia una delle attività più difficili da imparare.
Fonte di stress: deriva dal dover imparare a fidarsi degli altri, ma anche di avere l’onere di controllare il loro lavoro
02 | Monitoraggio generale della commessa
In sintesi consiste nella redazione di report mensili su come vengono impiegate le “risorse” – intese come persone che lavorano – nella verifica di quanto si è speso e quanto si è guadagnato su un particolare progetto, oltre che nella gestione di contabilità varia (SAL e certificati di pagamento). Insomma, “pagare e farsi pagare”, attività noiosa, ma essenziale: questa è la parte di cui ancora non sono pratica e che mi uccide ogni velleità creativa rimasta.
Fonte di stress: assicurata
03 | Verifica del controllo costi
Io, che a malapena so quanto costa il pane al chilo e che ho le mani più bucate di una Kardashian qualsiasi, devo cercare di seguire il lavoro dei computisti per verificare dove stia andando a parare la commessa. In questo particolare periodo “storico” questa è la parte più drammatica del lavoro: non vi racconto di certo niente di nuovo se scrivo che i prezzi di materiali e manodopera sono completamente impazziti, con la pandemia e il centodiecipercento e la guerra e dove-sono-le-materie-prime e l’incertezza generale in cui ci troviamo a lavorare. Commesse da trentaduemilionidieuro di budget che oggi sono arrivate a quarantunomilioni, ma da qui a una settimana sinceramente è impossibile dire a quanto ammonteranno: se non fosse che alla fine ci si convince di parlare di paperdollari, non ci sarebbe da dormirci la notte. E infatti dormo male (come se dovessi tirarli fuori io sti soldi, poi).
Gare d’appalto in cui l’offerta più bassa è del 40% più alta della base di gara e lavori che quindi non vengono appaltati, in attesa di tempi migliori. Peccato che per questi stessi progetti si siano dedicati mesi e mesi di lavoro ed ora guardarli riposare lì sulla carta, senza vedere la polvere del cantiere, non fa per niente bene al morale ed è impossibile non chiedersi a che pro tanta fatica. Questo è anche il motivo per cui in questo elenco sorvolo il capitolo “cantiere”.
Fonte di stress: + 1.000,00
04 | Gestione del lavoro di consulenti e progettisti esterni
Il progetto di architettura oggi è una macchina particolarmente complessa, impossibile fare tutto all’interno di un unico studio, impossibile fare da soli/e. Viene da chiedersi come si facesse in passato a costruire le meraviglie che si sono costruite, ma è un pensiero fine a se stesso. In questo momento sto lavorando con figure professionali “esterne” per varie discipline: impianti, acustica, antincendio, geologia, geotermia, topografia, agronomia, catasto, progettazione del paesaggio, progettazione di infrastrutture, e probabilmente ho dimenticato qualcosa. Ognuna di queste figure segue la parte di propria competenza, ma ciascuna può pestare i piedi all’altra, e quindi fra i miei compiti c’è quello di occuparmi del coordinamento generale, che va dal dare/ricevere informazioni e distribuirle per tempo, al doverci capire qualcosa un po’ di tutto per prevedere eventuali implicazioni e conseguenze. Questo non è facile praticamente MAI perché non è che ci capisca sempre tutto di tutto e, quando penso di aver imparato qualcosa, sopraggiunge sempre qualcosa di nuovo.
Fonte di stress: direttamente proporzionale alla sensazione di non essere mai all’altezza
05 | Relazioni con i clienti
Ovvio che la gestione del rapporto con i clienti è alla base di qualsiasi lavoro perché, si sa, “lavorare con il cliente è difficile, ma senza è impossibile”: da quando me ne occupo in prima persona ho capito che la preparazione universitaria manca certamente di alcune materie fondamentali, quali psicologia, elementi di diplomazia, economia, diritto, divinazione e difesa contro le arti oscure. Averne avuto un’infarinatura sarebbe stato utile, ma sicuramente la vera abilità si costruisce solo con l’esperienza, quindi è per me oggetto di formazione continua (senza crediti). Attualmente sto prendendo il master in “Improvvisazione e fumo negli occhi”.
Fonte di stress: q.b.
06 | Risoluzione di imprevisti e probabilità
Questa è la variabile impazzita di qualsiasi progetto di architettura, da quelli di scala più piccola a quelli di scala urbana, con le dovute proporzioni, e comprende la gestione di tutte quelle attività più o meno problematiche che all’inizio magari non era facile prevedere (e che spesso portano a discussione sui contratti per definire che cosa fosse compreso e che cosa no). Qualche esempio tratto dagli ultimi mesi di lavoro: trovare il modo di trasformare improbabili generiche indicazioni da PGT in soluzioni progettuali attuabili, capire a quale Ente chiedere autorizzazione quando ci sono buchi normativi e tutti si rimpallano la responsabilità, scoprire come sdemanializzare particelle catastali ereditate da errori e dimenticanze di decenni fa, inventare come destreggiarsi nella comprensione dell’iter procedurale di attività mai affrontate prima (ad esempio, bonifiche belliche o vincoli aeroportuali), fino ad attività più propriamente operative, tipo andare fisicamente ad aprire pozzetti stradali per trovare evidenza del passaggio di reti gas indicati su carte di piano comunali mai aggiornate.
Fonte di stress: “Ogni mattina un architetto/a si sveglia e ancora non sa quale sarà l’imprevisto quotidiano che certamente si troverà ad affrontare”

Quando scrivo tendo a sdrammatizzare e non so se ho reso l’idea del bagaglio di preoccupazioni che mi sembra di caricarmi sulle spalle ogni mattina. È un bagaglio diverso da quello che portavo quando ero io ad occuparmi della parte più operativa del lavoro: prima era l’ansia di rispettare i tempi per preparare mille elaborati, oggi è l’ansia di dover controllare che siano gli altri a preparare mille elaborati entro certi tempi, di cui io devo rispondere. Prima era la preoccupazione di non saper risolvere un dettaglio tecnico, oggi è la preoccupazione di dover sempre sapere come risolvere quando qualcuno si rivolge a me con un problema o per un aiuto. Prima era la frustrazione di dovermi adeguare alle decisioni di qualcun altro, oggi è la frustrazione di dover essere io a prendere certe decisioni. Cerco di farlo nel modo che ritengo più corretto, nel tentativo di non ricadere negli stessi comportamenti che ho subito nelle diverse fasi della mia esperienza lavorativa. Non è facile.
Dicevo all’inizio del post che in un paio di momenti, fra la fine dello scorso anno e l’inizio di questo, credo di essere arrivata sulla soglia dell’esaurimento. Il solo sentir chiamare a ripetizione il mio nome o il veder comparire alcuni contatti allo squillo del telefono, bastava a provocarmi ansia (leggi = disperazione) e desiderio di fuga.
Come non sono caduta nel baratro?
Ripetendomi che non sono da sola e che posso chiedere aiuto alle persone che lavorano con me, imparando a fidarmi. Ripetendomi che il mondo gira lo stesso pure se questa cosa la rimando a domani o se mi prendo qualche momento di pausa. Ripetendomi che, se è ammessa per tutti la possibilità di lavorare anche da remoto, non è indispensabile che io sia sempre presente e reperibile. Ripetendomi che la perfezione non esiste e che l’ostinazione di volerci sempre aspirare, alla lunga, è controproducente. Ripetendomi che non posso farmi carico degli errori di tutti e che neanche io sono infallibile e che, anzi, mi è addirittura concesso di sbagliare.
Il post è finito col diventare una seduta di psicoterapia: ma questo è sostanzialmente dove mi trovo oggi nel meraviglioso mondo dell’archinoia.
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